Giulio Verne è stato un passaggio fondamentale per chi, da ragazzo, leggeva libri. Leggere libri era un modo per sognare e viaggiare e Verne incarnava l’avventura. Portava una visione futuristica, un altro grado di conoscenze e si rimaneva incantati per l’inventiva. Pistole elettriche, fonotelefoni, pubblicità scritte nel cielo col fumo di aerei, viaggi al centro della Terra, nel cielo con palloni, negli oceani. Ma poi si cresce, anzi si invecchia, e questa è ora la mia interpretazione del romanzo “20.000 leghe sotto i mari”, del 1869, due anni dopo, questo è importante, dell’esposizione di Parigi. Credo che Verne, in questo libro, abbia inventato ben poco. Ha solo raccolto notizie sulla precedente civiltà, scomparsa chissà come, quando e perché. Le sue invenzioni narrative sono, secondo me, le descrizioni di alcune delle conquiste di quel mondo che noi chiamiamo Tartaria, e che forse da qualche parte ancora sopravviveva. Insomma il libro parla di situazioni e fatti reali. Lo stesso Verne dichiarò che si documentava molto per scrivere i suoi libri e che aveva avuto modo di vedere all’esposizione di Parigi il sottomarino Plongeur, varato nel 1863, che gli aveva dato l’idea del sottomarino elettrico Nautilus. Ma a quell’esposizione, Verne sicuramente vide altre cose, tutti quegli oggetti messi in mostra per poco tempo e poi finiti nei depositi. Lo scrittore, che secondo alcuni era anche iscritto ad associazioni segrete, sapeva quello che succedeva nel mondo e forse era stato anche testimone di qualche avvenimento accaduto o aveva conosciuto lui stesso qualche superstite, qualcuno come il capitano Nemo. Il personaggio, infatti, è molto ben caratterizzato. Viene descritto come una persona indubbiamente eccezionale: scienziato, uomo pratico, inventore, quasi appartenente a una stirpe superiore, capace di costruire una civiltà tecnologica progredita ma che ora era costretto a fuggire da navi nemiche e rifugiarsi negli oceani. Nonostante ciò non aveva rinunciato al suo mondo, che aveva ricostruito sul suo sottomarino. Come uomo di cultura ha infatti una ricca biblioteca, una collezione di orologi e termometri e continua a nutrire il suo spirito con le risonanze dell’organo, L’atmosfera è perciò più simile a un castello tartariano che a un freddo sottomarino di acciaio. E c’è l’elettricità, che il capitano descrive come una normalità. L’elettricità regna sovrana sul suo battello, e il capitano la descrive come un agente rapido, obbediente, potente, adattabile a qualsiasi uso. Apro una parentesi: non so a che periodo si riferiscono queste foto, ma mostrano un tram con rotaie sott’acqua, che si muove elettricamente. Insomma qualcosa d’avanguardia, mentre, al tempo della stesura del libro, per i francesi l’elettricità aveva ancora un alone di magia. Ma lo stretto legame fra il romanzo, le sue atmosfere, e il mondo perduto di Tartaria, lo troviamo anche nelle illustrazioni della prima edizione del romanzo. Verne si rivolse a un artista e illustratore storico famoso, Alphonse de Neuville, che possiamo anche definire corrispondente dai luoghi storici, il quale aveva già dato prova di accuratezza nei dettagli descrivendo battaglie e situazioni di cambiamenti politici. Attacco degli Zuavi a Magenta, La Battaglia di San Lorenzo, Cernaia. Perciò anche nelle illustrazioni del libro troviamo particolari rivelatori, come per esempio il simbolo della spirale, associato alla maggior parte delle opere attribuite a Tartaria. Vediamo le altre. Vasi e armature, come si possono ammirare all’Ermitage o a Castel Sant’Angelo; biblioteca; luci; i templi di Atlantide; organo nel soggiorno; grandi libri; leoni; rivettatura; tubature; ingranaggi e ruote dentate; timone; orologi. Per concludere, torniamo all’inizio, anzi al titolo del romanzo. Perché Verne parla di 20.000 leghe, e quanto è lunga una lega? La lega come misura di lunghezza adottata in Francia all’epoca del romanzo, è composta da 5.556 metri, 5 km e mezzo, e 20.000 leghe corrispondono a circa 111.000 km. Il percorso del sottomarino Nautilus è specificato nel romanzo: dal Giappone a Suez, poi in Antartide e quindi al Polo Nord. In totale, però, la somma delle distanze citate non arriva a 111.000 Km, ma solo, approssimando, a 50.000 km. Allora su quale carta Giulio Verne aveva calcolato le distanze?

