Nessuno scultore vivo o defunto sarebbe in gradi di scolpire una simile opera con dettagli finissimi. Il tutto da un singolo blocco di marmo.
Il “Disinganno”, opera di Francesco Queirolo, è uno dei tre capolavori scultorei – insieme al “Cristo velato” di Sanmartino e alla “Pudicizia”di Corradini – che decorano la Cappella Sansevero, a Napoli, una chiesa barocca, oggi sconsacrata, risalente al XVI secolo la cui sistemazione definitiva, avvenuta nella seconda metà del Settecento, si deve all’iniziativa del famoso principe Raimondo di Sangro, che ne fece un artistico mausoleo di famiglia.
La scrittrice Matilde Serao la considerava una vera e propria tomba, dove tutto è gelido, tranquillo, gelidamente sepolcrale
. E fra un sepolcro e l’altro, continuava, statue e gruppi allegorici, sempre in quell’interno e freddo marmo […]. Ultimo, poeticamente ultimo, è il “Disinganno”, un uomo che cerca con uno sforzo supremo di districarsi da una fitta rete che l’avviluppa tutto. Singolare chiusura della vita, termine singolare di tutte le sublimità, di tutte le passioni, di tutti gli amori. Il Disinganno – e più altro
.
Al personaggio che lotta per liberarsi dalla rete reca aiuto un angelo, simbolo dell’intelletto umano.
Il principe di Sansevero – un eclettico intellettuale, inventore, alchimista e massone che si mise sovente in cattiva luce agli occhi dell’Inquisizione – commissionò la statua all’artista genovese Queirolo: essa doveva celebrare il padre, Antonio di Sangro, uomo dalla vita dissoluta – fu per due volte omicida –, il quale, pentito dei suoi trascorsi nefandi, visse gli ultimi anni della sua esistenza in convento.
L’artista genovese realizzò questo capolavoro di perizia tecnica – sorprendente il virtuosistico groviglio della finissima rete – nel 1754. ( http://www.italianways.com/il-virtuosistico-groviglio-del-disinganno/ )